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Home ›Italia – Corte d’Appello di Brescia, 18 gennaio 2019, Sent. Nr. 96/2019 - R.G.N.R. 921/2017
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European Union Law > EN - Dublin II Regulation, Council Regulation (EC) No 343/2003 of 18 February 2003
European Union Law > EN - Family Reunification Directive, Directive 2003/86/EC of 22 September 2003
European Union Law > EN - Qualification Directive, Directive 2004/83/EC of 29 April 2004
European Union Law > EN - Reception Conditions Directive, Directive 2003/9/EC of 27 January 2003
European Union Law > EN - Returns Directive, Directive 2008/115/EC of 16 December 2008
European Union Law > EN - Dublin III Regulation, Council Regulation (EC) No. 604/2013 of 26 June 2013 (recast Dublin II Regulation)
European Union Law > EN - Recast Reception Conditions Directive, Directive 2013/33/EU of 26 June 2013
European Union Law > EN - Recast Asylum Procedures Directive 2013/32/EU of the European Parliament and of the Council
European Union Law > EN - Recast Qualification Directive, Directive 2011/95/EU of 13 December 2011
UNHCR Handbook
Italy - Constitution - Art 10
Italy - Code of Civil Procedure - Art. 96
Italy - Legislative Decree No. 215/2003 - Art. 2
Il caso tratta di una controversia in cui E.F in un post pubblico su Facebook contesta ad alcune cooperative che si occupano di accoglienza di migranti la finalità di lucro sul traffico di migranti clandestini. Il post su Facebook viene ritenuto diffamante e discriminatorio nei confronti delle cooperative che lavorano nell’ambito e nei confronti dei richiedenti asilo.
E.F., cittadino/a italiano/a, nel giugno del 2015 ha pubblicato su Facebook una foto di un articolo del giornale “Bresciaoggi” sostenendo che alcune cooperative che lavorano nel settore dell’accoglienza dei migranti, tra cui anche le società K-Pax e Puerto Escondido, fossero coinvolte in attività di lucro e traffico di migranti clandestini. Il post, inoltre, fa riferimento anche alla presenza “illegale” di richiedenti asilo sul territorio italiano.
Le cooperative K-Pax e Puerto Escondido, supportate da A.S.G.I., hanno agito in sede giudiziale, ricorrendo avverso la condotta di E.F. ed affermando che il post fosse diffamatorio in quanto definiva le cooperative come inclini al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Inoltre, affermano che il post fosse altresì discriminatorio nei confronti dei richiedenti asilo, poiché secondo l’art. 10 della Costituzione Italiana essi risultano essere regolari nel territorio italiano.
La tesi dei ricorrenti è stata accolta dal Tribunale di primo grado, in quanto la condotta di E.F. è stata ritenuta discriminatoria, e il convenuto è stato condannato al risarcimento dei danni.
E.F. ha deciso di proporre ricorso in appello avverso la decisione del Tribunale di primo grado per veder totalmente riformata la decisione, appellandosi alla libertà di espressione e affermando che il giudice avesse erroneamente interpretato i termini utilizzati sul post pubblicato su Facebook.
La Corte d'appello ha ribadito e confermato il carattere discriminatorio del comportamento di E.F. in base all'art. 2. comma 3 del D.Lgs. 215/2003 sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza o dall'origine etnica, in quanto la condotta ha l'effetto di "violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo". In particolare, attribuire l'obiettivo del profitto alle cooperative, in un social network come Facebook, crea un clima intimidatorio nei loro confronti e, di conseguenza, nei confronti dei richiedenti asilo.
Per quanto riguarda l'uso dei termini "immigrati clandestini":
La Corte d'appello sostiene che l'uso di questi termini vìola la dignità della categoria dei richiedenti asilo dal momento che ci si riferisce a loro definendoli illegali senza distinzione. Come enunciato dall’art. 10 della Costituzione italiana, i richiedenti asilo hanno il diritto di entrare nel territorio nazionale e chiedere asilo, pertanto il loro status giuridico è regolare.
Per quanto riguarda il risarcimento dei danni:
Nel primo ricorso, E.F. ha rivendicato l'illegittimità della condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali affermando che il giudice aveva stabilito una nuova categoria di danni. Invero, la Corte d'Appello statuito che il giudice di primo grado avesse applicato correttamente la legge e, per l’effetto ha condannato E.F. al risarcimento dei danni non patrimoniali aumentato altresì di un importo ulteriore determinato della Corte, sulla base dell'art. 96 comma 3 del codice di procedura civile.
Appello rigettato
This summary was completed by Sara Korbi, Master’s student on International Sciences at Università degli studi di Torino.